“Di regola, ciò che non si vede disturba la mente degli uomini assai più
profondamente di ciò che essi vedono”
Giulio Cesare
In Italia, secondo dati Istat, una persona su 6 ha vissuto, almeno una volta nella vita,
l’esperienza di un attacco di panico. Spesso si tratta di un caso isolato, ma a volte può
trasformarsi in un disturbo vero e proprio.
Ma cos’è davvero il panico?
COS’E’ IL PANICO
Il termine “panico” deriva dal Dio Pan, il Dio metà uomo e metà caprone che appariva
all’improvviso nei boschi, terrorizzando le ninfe e con la stessa tempestività scompariva.
Da lì l’accezione del termine più comune: terrore improvviso, paura incontrollata.
L’attacco di panico rientra nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi
mentali, 2018) nei disturbi d’ansia.
Per prima cosa è doveroso distinguere tra paura e ansia: la prima è la risposta emotiva
a una minaccia imminente, reale o percepita, che ci pone in una posizione di “attacco o
fuga”, quella che per intenderci ci fa scappare alla vista di un serpente e che ha permesso
alla nostra specie di non estinguersi.
L’ansia invece è l’anticipazione di una minaccia futura, di cui esistono due differenti
forme: ansia adattiva e disadattiva (patologica). Nell’ansia adattiva, il male atteso è
una probabilità reale. Per esempio, ci stiamo preparando per un esame molto importante
all’università e la preoccupazione di poter essere bocciati ci pone in uno stato di “allerta”
che ci farà studiare di più e più concentrati. Oppure, nel contesto lavorativo, il capo ci ha
chiesto di anticipare la consegna di un progetto e ciò determinerà uno stato di agitazione
che ci farà essere più produttivi.
Al contrario nell’ansia patologica si verifica un malessere emotivo di fronte a un danno
futuro che, seppur possibile, non è poi così probabile. Successivamente il malessere può
trasformarsi in uno stato più o meno permanente e il soggetto vive nella costante attesa
di essere colpito da qualcosa di negativo. Può essere un esempio il blocco, fisico ed
emotivo, all’idea di dover andare ad un concerto e la conseguente paura di sentirsi male in
mezzo alla folla.
Gli attacchi di panico giocano un ruolo importante all’interno dei disturbi d’ansia come un
particolare tipo di risposta alla paura.
COME SI MANIFESTA L’ATTACCO DI PANICO
In condizioni in cui l’ansia è molto forte e pervasiva, o a partire da uno stato di quiete,
potremmo vivere quello che ormai oggi conosciamo tutti come attacco di panico:
comparsa improvvisa di paura o disagio intensi, che raggiunge il picco in pochi
minuti.
In questi minuti si possono inoltre avere:
- Sintomi somatici: tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento,
fastidio al petto, vertigini, brividi, vampate di calore, disturbi della visione;
- Sintomi psichici (di natura cognitiva): paura di perdere il controllo, paura di
impazzire, paura di morire, derealizzazione (sensazione che la realtà esterna non ci
appartenga), depersonalizzazione (sensazione di guardare il proprio corpo
dall’esterno).
Un attacco di panico si distingue dall’ansia continua per il tempo che impiega ad
arrivare al picco d’intensità, che si verifica nel giro di pochi minuti e la sua tipica maggiore
gravità.
Inoltre gli attacchi di panico possono essere di due tipi:
- attesi o situazionali, per i quali c’è un evidente elemento scatenante, ovvero le
situazioni che si ripetono in cui gli attacchi tipicamente si sono verificati (per es.
trovarsi negli spazi chiusi);
- inaspettati, quelli in cui non vi sono evidenti elementi scatenanti al momento del
verificarsi dell’attacco (per es. svegliarsi dal sonno in preda al panico).
LA PAURA DELLA PAURA L’imprevedibilità degli attacchi di panico può innescare un’ansia anticipatoria, ovvero la “paura della paura”. Questo meccanismo è spiegato molto bene dal Modello del Circolo Vizioso di Clark (1986): ovvero uno stimolo, esterno o interno, che viene percepito come minaccioso attiva le sensazioni somatiche del panico, per es. dolori al petto, tremore, nausea, tachicardia. Tali sensazioni vengono interpretate in modo catastrofico, per es. “non respiro, e se muoio soffocato?” oppure “ho dolore al petto, e se mi viene un infarto?” e così via. La preoccupazione in atto potrebbe perciò aumentare a tal punto da innescare un vero e proprio attacco di panico. Da questo momento in poi si tenderà a mettere in atto condotte di evitamento, volte a sottrarsi alle manifestazioni negative dell’ansia perché la persona teme di avere nuovi attacchi di panico. Poiché non ci saranno nuove occasioni per smentire questi vissuti, l’ansia inizierà il suo percorso di cronicizzazione. Di seguito uno schema del modello del Circolo Vizioso del Panico di Clark (1986):
RELAZIONE TRA CALDO E PANICO
Secondo alcuni studi, il Disturbo da Attacchi di Panico, sembrerebbe esordire più
frequentemente in primavera e in estate, piuttosto che negli altri periodi dell’anno.
Si può dedurre, da quanto detto sopra, che il motivo possa essere che gli effetti fisici del
caldo (sudorazione eccessiva, abbassamento della pressione sanguigna, tachicardia,
capogiri) possano essere confusi con i sintomi d’ansia e se mal interpretati, con i
precursori degli attacchi di panico. Persone quindi che sono già predisposte ai disturbi
d’ansia, che vivono in una grande metropoli con elevati tassi di afa e umidità, possono
essere maggiormente a rischio.
Non è un caso che durante il periodo estivo i reparti di Pronto Soccorso registrino un
incremento degli accessi di persone che lamentano disturbi somatici, dei quali
successivamente viene accertata la natura psichica. Ne è un esempio classico il dolore
toracico che richiede l’esclusione di un disturbo di origine cardiaca.
COSA FARE Fino ad ora ci siamo concentrati soprattutto sugli aspetti fisici del disturbo e sul loro possibile collegamento con le stagioni. Tuttavia i disturbi d’ansia e gli attacchi di panico possono presentarsi in qualsiasi momento dell’anno e per diversi motivi. Tra i più comuni: la perdita del lavoro, un lutto, una malattia, una separazione in atto. Quelli che abbiamo descritto come sintomi somatici e psichici non sono altro che un segnale manifesto che ci indica che c’è qualcosa di sottostante che crea malessere: “ciò che non si vede” spaventa più di ciò che è visibile.
Quand’è allora il momento di rivolgersi ad uno psicologo? Se tale malessere perdura nel tempo, aumenta di intensità ed inizia a condizionare le giornate, per esempio limitando la vita lavorativa, affettiva e personale del soggetto, è bene fare un lungo respiro e chiedere aiuto. Spesso c’è la tendenza a chiudersi e a vergognarsi di raccontare il proprio disagio. Inevitabilmente ci si ritrova a vivere in una morsa, che stringe e non ci fa respirare. Tuttavia accettare di aver bisogno di un aiuto esterno, in un determinato periodo della vita, non rende più deboli, ma più consapevoli di ciò che stiamo attraversando. Per questo motivo è molto importante parlarne con uno specialista, per dare insieme un nome al disagio e alla sofferenza psichica, così che la paura diventi meno angosciante. L’intervento tempestivo di un esperto, che prenda in considerazione l’aspetto psicologico del paziente e lo faccia sentire al sicuro e ascoltato all’interno di una relazione terapeutica, può essere determinante affinché il disturbo non si cronicizzi e la guarigione non richieda un percorso psicoterapeutico più lungo. Tra i diversi tipi di interventi psicoterapeutici, recentemente le ricerche hanno dimostrato l’efficacia delle tecniche psicodinamiche, che riducono il rischio di ricadute e di dipendenza dai farmaci. E’ possibile riprendere in mano la propria vita dall’ansia e tornare a “respirare”. Bibliografia - American Psychiatric Association, DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), Milano: Raffaello Cortina Editore, 2018; - Galassi F., Ciampelli M., Modelli cognitivisti e modello integrato nel disturbo di panico con agorafobia, in “Psychomedia”; - Istituto Nazionale di Statistica: www.istat.it; - Migone P., Alla ricerca del vero meccanismo d’azione della psicoterapia, in “Psychomedia”, il ruolo terapeutico dal 1987; - Sassaroli S., Alcuni punti di riflessione sull’interpretazione e il trattamento del disturbo ansioso, in “Rivista di Psicoterapia relazionale”, a.2001 n.13.
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